DL 104/2020 NOVITA’ IN MATERIA DI LAVORO

DL 104/2020 NOVITA’ IN MATERIA DI LAVORO

Il D.L. 104/2020, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 203 del 14 Agosto 2020 ed entrato in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione, ha introdotto importanti novità in materia di lavoro.

Si riportano le più importanti:

  • PROROGA DEGLI AMMORTIZZATORI SOCIALI CON CAUSALE COVID 19.

L’art. 1, comma 1, Capo I, del D.l. 104/2020  prevede, per quei datori di lavoro che nell’anno 2020 abbiano sospeso o ridotto l’attività lavorativa per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica da COVID-19, la possibilità di presentare domanda di concessione dei trattamenti di Cassa integrazione ordinaria, Assegno ordinario e Cassa integrazione in deroga di cui agli artt. da 19 a 22- quinquies del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27 e ss.mm.ii., per una durata massima di nove settimane, incrementate di ulteriori nove settimane, secondo le modalità di cui al comma 2.

Le settimane complessive sono quindi diciotto e devono essere collocate nel periodo ricompreso tra il 13 luglio 2020 e il 31 dicembre 2020. Con riferimento a tale periodo, le predette diciotto settimane costituiscono la durata massima che può essere richiesta con causale COVID-19. Pertanto, se non ci saranno novità successive, in caso di necessità, le imprese che possono chiedere, in via ordinaria, la CIGO o il FIS, dovranno utilizzare tali ammortizzatori seguendo le regole dettate dal D. Lg. N. 148/2015.

I periodi di integrazione salariale già richiesti e autorizzati ai sensi del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27 e ss.mm.ii., che sono collocati, anche parzialmente, in periodi successivi al 12 luglio 2020, devono essere imputati alle prime nove settimane e, quindi, non si sommano.

1 A)  NUOVO CONTEGGIO DELLA CASSA INTEGRAZIONE A DECORRERE DAL 13 LUGLIO

La principale novità, come rilevato nel messaggio INPS 3131/2020, consiste nella possibilità per i datori di lavoro di accedere ai nuovi trattamenti indipendentemente dal precedente ricorso e dall’effettivo utilizzo degli stessi nel primo semestre del corrente anno. Il decreto-legge n. 104/2020, infatti, ridetermina il numero massimo di settimane richiedibili entro il 31 dicembre 2020 (fino a 18 settimane complessive), azzerando il conteggio di  quelle richieste  e autorizzate per i periodi  fino al 12 luglio 2020, ai sensi della precedente disciplina.

Pertanto a decorrere dal 13 luglio  valgono solo le nuove 18 settimane previste dal Dl 104/2020, anche se i periodi già autorizzati in base alla precedente normativa, che si collocano, anche parzialmente, a partire dal 13 luglio, vanno a scalare automaticamente il primo blocco di 9 settimane.

È anche importante tenere presente che, con l’introduzione del Dl 104/2020, cade l’unione e commistione tra il concetto di autorizzato e di fruito: da ora in poi si parlerà solo di autorizzato.

1 B) PRESENTAZIONE DI  DOMANDE SEPARATE

Sono richieste due distinte domande per richiedere i trattamenti di Cigo, Cigd e assegno ordinario previsti dal decreto agosto (Dl 104/2020).

Il datore di lavoro deve inviare prima la domanda di integrazione salariale relativa alle prime nove settimane mentre per le ulteriori nove settimane il riconoscimento avviene per i datori di lavoro  ai quali sia stato già autorizzato il precedente periodo di nove settimane.

1 C) TERMINI DI PRESENTAZIONE DELLE DOMANDE .

Con i commi 5 e 6 vengono ribaditi i termini e le decadenze per la presentazione delle istanze: le domande vanno presentate entro la fine del mese successivo a quello in cui ha avuto inizio la sospensione o la riduzione di orario. In sede di prima applicazione, il termine finale è il 30 settembre, atteso che la norma stabilisce che è fissato entro la fine del mese successivo a quello di entrata in vigore del Decreto Legge (ossia, agosto). In tale quadro normativo rientrano anche i termini legati al pagamento diretto delle prestazioni: il datore di lavoro deve inviare all’Istituto tutti i dati necessari per il pagamento ed il saldo (modello “sr41”) entro la fine del mese successivo a quello in cui è collocato il periodo integrativo o, se posteriore, entro trenta giorni dall’adozione del provvedimento di concessione. Anche qui, viene in aiuto una disposizione che vale, unicamente, per la prima volta: i termini sono spostati al trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore del Decreto Legge, se tale data risulta essere posteriore rispetto a quella appena sopra riportata. Il mancato rispetto dei termini, comporta decadenza ed il pagamento e gli oneri conseguenti ricadono sul datore di lavoro inadempiente.

Con due commi successivi  (9 e 10), che riguardano la totalità degli ammortizzatori, si stabilisce che:

  • I termini decadenziali di invio delle istanze di accesso ai trattamenti e di trasmissione dei dati necessari per il pagamento ed il saldo, in scadenza entro il 31 Luglio 2020, sono differiti al 30 Agosto 2020;
  • I termini di invio delle istanze di accesso ai trattamenti di trasmissione dei dati necessari per il pagamento o per il saldo che si collocano entro il 31 agosto, sono differiti al 30 settembre 2020.
  • In relazione a quanto precede, anche le domande di trattamenti con inizio della sospensione/riduzione dal 1° al 12 luglio 2020, ancorché non ricomprese nella nuova disciplina dettata dal decreto-legge n. 104/2020, possono essere utilmente trasmesse entro il 30 settembre 2020.

 D) IL CONTRIBUTO AGGIUNTIVO.

Mentre il primo periodo di nove settimane non prevede alcuna specifica  condizione, il ricorso  alle ulteriori nove settimane è, invece, collegato alla verifica del fatturato delle aziende richiedenti. A tal fine, la norma prevede un raffronto tra il fatturato del primo semestre 2020 e quello del corrispondente periodo del 2019, che può far sorgere in capo all’azienda l’obbligo del versamento di un contributo addizionale – da calcolarsi sulla retribuzione globale che sarebbe spettata al lavoratore per le ore di lavoro non prestate durante la sospensione o riduzione dell’attività lavorativa – determinato secondo le misure che seguono:

  • aliquota del 18% per i datori di lavoro che non hanno avuto alcuna riduzione del fatturato nel raffronto tra il primo semestre 2020 e il primo semestre 2019;
  • aliquota del 9% per i datori di lavoro che, nel primo semestre 2020, hanno subito una riduzione del fatturato inferiore al 20% rispetto a quello del corrispondente semestre del 2019;
  • nessun contributo addizionale per i datori di lavoro che hanno subito una riduzione del fatturato pari o superiore al 20% o hanno avviato l’attività di impresa successivamente al 1° gennaio 2019; conseguentemente, gli stessi potranno accedere alle ulteriori nove settimane di trattamenti senza dover sostenere alcun onere aggiuntivo.

In mancanza di autocertificazione il contributo addizionale sarà richiesto nella misura massima del 18% della retribuzione globale che sarebbe spettata al lavoratore per le ore di lavoro non prestate durante la sospensione o riduzione dell’attività lavorativa.

La verifica  della veridicità delle dichiarazioni fornite dai datori di lavoro sarà effettuata dall’Inps e dall’Agenzia delle Entrate.

Per le prime 9 settimane dovrà essere utilizzata la causale “Covid- 19 nazionale” già usata.

Per le ulteriori 9 settimane si dovranno attendere le istruzioni dell’Inps.

Il contributo addizionale  appare particolarmente esoso, sol che si pensi che l’aliquota del 9% si applica nella CIGO ordinaria, nella CIGS e nei contratti di solidarietà a partire dal secondo anno di fruizione all’interno del quinquennio mobile e che quella del 18% è ben superiore a quella del 15% che scatta a partire dal terzo anno di “godimento” degli ammortizzatori (art. 5 del D.L.vo n. 148/2015). Un analogo discorso può farsi per le aziende che fruiscono del FIS ove il contributo addizionale è pari al 4% della retribuzione persa dai dipendenti (art. 29 del D.L.vo n. 148/2015). 

1 E) COMUNICAZIONI E CONSULTAZIONI SINDACALI.

Sul piano sindacale, la norma rimanda integralmente alle disposizioni di cui agli artt. da 19 a 22- quinquies del d.l. 17 marzo 2020, n. 18,  e successive modificazioni: ciò significa che la fase di informativa e consultazione con il sindacato è quella de-procedimentalizzata a rapida prevista dalle norme in questione, senza ulteriori variazioni.

Si può tener presente anche  anche il messaggio Inps  2981/2020 che ribadisce l’insussistenza dell’obbligo dell’accordo sindacale per l’assegno ordinario con causale Covid 19. 

1 F) CONTENUTO DELLA SECONDA DOMANDA.

Sul piano amministrativo,  ai fini dell’accesso alle ulteriori nove settimane, i datori di lavoro devono presentare all’INPS apposita domanda di concessione nella quale dovrà essere necessario autocertificare, ai sensi dell’art. 47 del DPR 28 dicembre 2000, n. 445, la sussistenza dell’eventuale riduzione del fatturato, di cui al comma 2, art. 1, del d.L. 104/2020.

L’INPS autorizza i trattamenti di cui all’art. 1, Capo I, del  decreto e, sulla base dell’autocertificazione allegata alla domanda, individuerà l’aliquota del contributo addizionale che il datore di lavoro sarà tenuto a versare a partire dal periodo di paga successivo al provvedimento di concessione di integrazione salariale.

In mancanza di autocertificazione, verrà applicata l’aliquota del 18% di cui al comma 2, lettera b), del  decreto legge, ferme restando le necessarie verifiche su quanto dichiarato, che saranno effettuate sia dall’Istituto che dall’Agenzia delle Entrate sulla base di dati  ed elementi di valutazione che potranno scambiarsi.

  1. ESONERO CONTRIBUTIVO PER I DATORI DI LAVORO CHE NON RICHIEDONO GLI AMMORTIZZATORI EMERGENZIALI.

L’art. 3  D.L. 104/2020 prevede, in via eccezionale, l’esonero totale dal pagamento dei contributi Inps per un periodo massimo di 4 mesi per i datori di lavoro che abbiano fruito degli ammortizzatori nei mesi di maggio e  giugno  2020 ai sensi del DL 18/2020  e successive modificazioni e che non richiedano i trattamenti di cui al comma 1 del DL 104/2020; la misura dell’esonero è pari al doppio delle ore di integrazione salariale in precedenza fruite.

Per chi accede all’esonero in questione, trova applicazione la proroga del divieto di licenziamento disposto dall’art. 14 del DL Agosto.

La disposizione riguarda i contributi dovuti dal datore di lavoro e l’esonero è pari alla misura dei contributi calcolati sulla retribuzione oraria del lavoratore per il numero di ore (raddoppiato) di cassa integrazione utilizzate a maggio e giugno. Quindi, significa che il datore di lavoro dovrebbe recuperare, per ciascun dipendente che ha fruito dell’ammortizzatore, il numero di ore utilizzate nel bimestre e la contribuzione a carico dell’azienda non versata per quelle ore, calcolata sulla retribuzione oraria di ciascun lavoratore.

Per fare un esempio, a fronte di 100 ore di cassa integrazione nel bimestre di un lavoratore del commercio e una paga oraria di 11 euro, il datore avrebbe un credito pari a 636 euro (11 x 100 x 28,98% x 2).

Una volta quantificato l’esonero, secondo la norma, il credito deve essere riparametrato e applicato su base mensile e per un periodo massimo di quattro mesi.

L’esonero dovrebbe  riguardare gli stessi lavoratori che sono stati messi in cassa integrazione nel bimestre interessato.

Destinatari del beneficio sono tutti i datori di lavoro privati, imprenditori e non imprenditori, anche a capitale pubblico, con esclusione di quelli del settore agricolo, che hanno fruito tra maggio e giugno di integrazioni salariali COVID-19, attraverso, la CIGO, il FIS, la Cassa in deroga, i Fondi bilaterali alternativi e quelli dei Fondi delle Province Autonome di Trento e Bolzano.

L’esonero può essere riconosciuto anche ai datori di lavoro che hanno richiesto, ai sensi del D.L. n. 18, periodi di cassa integrazione, anche parzialmente, successivi al 12 luglio.

La violazione delle disposizioni di cui al comma 2 comporta la revoca dall’esonero contributivo concesso ai sensi del comma 1 del  decreto con efficacia retroattiva e l’impossibilità di presentare domanda di integrazione salariale ai sensi dell’articolo1.

L’esonero  è cumulabile con altri esoneri o riduzioni delle aliquote di finanziamento previsti dalla normativa vigente, nei limiti della contribuzione previdenziale dovuta.
Il beneficio  è concesso ai sensi della sezione 3.1 della Comunicazione della Commissione europea recante un «Quadro temporaneo per le misure di aiuto di Stato a sostegno dell’economia nell’attuale emergenza del COVID-19» e nei limiti ed alle condizioni di cui alla medesima Comunicazione. L’efficacia delle disposizioni del presente articolo è subordinata, ai sensi dell’articolo 108, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, all’autorizzazione della Commissione europea. 

  1. LICENZIAMENTI

3 A) Divieto di licenziamenti

L’art. 14, Capo I, del D.L. 104/2020 preclude “ai datori di lavoro che non abbiano integralmente fruito dei trattamenti di integrazione salariale riconducibili all’emergenza epidemiologica di cui all’articolo 1 ovvero dell’esonero dal versamento dei contributi previdenziali di cui all’art. 3”:

– l’avvio delle procedure  di cui agli artt. 45 e 24 della L. 223/91, ivi comprese quelle avviate prima del 23 febbraio 2020, ma che a tale data risultavano ancora pendenti;
– la facoltà di recesso del datore di lavoro dal contratto per giustificato motivo oggettivo, ai sensi dell’art. 3 della L. 604/1966, nonché le procedure in corso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, di cui all’art. 7 della L. 604/1966.

Vengono fatte salve le ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato  nell’appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto di appalto.

Sull’interpretazione di tale disposizione sono emerse 2 tesi:

  1. CORRELAZIONE CON IL GODIMENTO DELLA CASSA INTEGRAZIONE

Secondo la prima interpretazione, l’art. 14 deve essere necessariamente letto ed interpretato in coordinamento con gli artt. 1 e 3 dello stesso decreto n. 104/2020, che introducono, rispettivamente, ulteriori 18 settimane (9+9) di ammortizzatori sociali straordinari e l’esonero contributivo.

In base all’art. 14 del Dl 104/2020, quindi, è stato elaborato un meccanismo in base al quale la vigenza del divieto di licenziamenti viene fatta coincidere con l’ulteriore periodo di fruizione della cassa integrazione Covid (18 settimane in totale, richiedibili dal 13 luglio 2020) o di godimento della decontribuzione (quattro mesi, fruibili entro il 31 dicembre 2020).

Conseguentemente,  in caso di ricorso all’ammortizzatore sociale con decorrenza dalla prima data utile (13 luglio 2020), l’impresa non potrà licenziare quantomeno sino al 16 novembre 2020. Ma anche qualora non si volesse ricorrere alla Cassa Integrazione Covid (che il decreto presenta pur sempre quale mera facoltà) restano i quattro mesi di decontribuzione per tutti coloro i quali abbiano fatto domanda di ammortizzatore sociale Covid per i mesi di maggio e giugno (articolo 2).

A1) PROROGA DEL DIVIETO DI LICENZIAMENTI

La proroga del divieto di licenziamenti è, quindi,  a scadenza individuale variabile perché non vi è un termine fisso specifico e predeterminato.

In pratica, mentre prima l’art. 46 del DL 18/2020 (conv. L. 27/2020), quale risultante a seguito delle modifiche apportate dall’art. 80 del DL 34/2020 (conv. L. 77/2020), stabiliva un blocco valido nei confronti di tutti i datori di lavoro fino al 18 agosto 2020, adesso l’art. 14 del DL 104/2020 statuisce nella sostanza che il blocco permane in capo a ciascun singolo datore di lavoro fino a quando quel medesimo datore di lavoro non abbia fruito per intero dei trattamenti di integrazione salariale o degli esoneri dal versamento dei contributi previdenziali: una volta che ha fruito per intero degli uni o degli altri, il blocco viene meno.

In altre parole, il divieto di licenziamento individuale per g.m.o. e il divieto di licenziamento collettivo permangono per i datori di lavoro che, dopo aver già usufruito degli ammortizzatori straordinari, chiederanno l’estensione per le ulteriori settimane ai sensi dell’art. 1 del decreto. In tale caso il divieto graverà sul datore di lavoro dal momento in cui attiverà l’ammortizzatore e per l’intero periodo usufruibile ovverosia per tutte le 18 settimane previste dall’art. 1, anche nel caso in cui, a seguito di un miglioramento della situazione aziendale, decidesse di usufruire dell’ammortizzatore per sole 9 settimane.

Parimenti, il medesimo divieto dovrà ritenersi operante per tutti quei datori di lavoro che, dopo aver usufruito degli ammortizzatori straordinari previsti dai decreti legge n. 18/2020 e n. 34/2020, farà richiesta di esonero dal pagamento dei contributi previdenziali ai sensi dell’art. 3 del decreto 104/2020. In tal caso il divieto verrà a cadere nel momento in cui cesserà l’esonero contributivo, che  viene riconosciuto, fino ad un massimo di 4 mesi, nella misura del doppio delle ore di integrazione salariale usufruite negli scorsi mesi.

A2) POSSIBILITA’DI EFFETTUARE LICENZIAMENTI

Seguendo questa tesi, a partire dal 18 agosto 2020 i datori di lavoro che non hanno mai utilizzato gli strumenti di integrazione salariale straordinari, i datori di lavoro  che, dopo averli utilizzati, scelgono di non avvalersi né degli ulteriori periodi di integrazione ex art. 1, né dell’esonero contributivo ex art. 3 e le aziende che anziché usufruire dell’estensione delle integrazioni salariali da Covid-19 decidono di fare richiesta degli strumenti di integrazione “normali” previsti dal D.lgs. 148/2015, potranno procedere ai licenziamenti individuali per g.m.o. e all’attivazione delle procedure di mobilità ex legge n. 223/1991, secondo le regole ordinarie.

Pertanto sembrerebbero escluse dalla proroga del divieto di licenziare per motivi economici soltanto quelle aziende che – da una parte – non abbiano intenzione o necessità di accedere alle ulteriori diciotto settimane di ammortizzatori previste dall’art. 1 del decreto e che – dall’altra – non siano beneficiarie, non avendo fruito degli ammortizzatori sociali nei mesi di maggio e giugno, (o che non intendano avvalersi) del periodo di decontribuzione di 4 mesi di cui all’art. 3.  Infatti l’esonero contributivo previsto dall’ art. 3 D.L. 104/2020 non opera automaticamente per tutti i datori di lavoro che nei mesi scorsi hanno usufruito delle integrazioni salariali legate all’emergenza Covid, ma deve essere espressamente richiesto.

E’ stato anche sostenuto che il divieto opera in ogni caso sino al 31 Dicembre 2020, essendo questo il periodo in cui è possibile usufruire della cassa integrazione.  Pertanto, secondo questa interpretazione, anche il periodo non coperto da cassa integrazione o dallo sgravio contributivo di 4 mesi di cui all’art. 3 del decreto  impedisce di licenziare fino al 31 Dicembre 2020.

Inoltre il termine del 31 dicembre 2020,  indicato dall’art. 14, deve intendersi quale termine ultimo per l’operatività del divieto, mentre il divieto effettivo, per il singolo datore di lavoro, è strettamente correlato all’utilizzo delle misure di sostegno nei termini  richiamati.

  1. DIVIETO DI LICENZIAMENTO SINO AL 31 DICEMBRE 2020 PER TUTTI I DATORI DI LAVORO CHE ABBIANO LA POSSIBILITA’ DI ACCEDERE AI NUOVI STRUMENTI DI SOSTEGNO.

Secondo un’altra tesi interpretativa,  permane sino al 31 Dicembre 2020 la proroga del divieto di licenziamenti  per i datori di lavoro che non chiedono di accedere al nuovo periodo di cassa integrazione e non rientrano nell’esonero contributivo.

Tale tesi ritiene che siamo di fronte, come dice la rubrica dell’art. 14, ad una “proroga” della disciplina dei licenziamenti già dettata dal “Decreto cura Italia” e modificata dal “Decreto rilancio”: continuità testimoniata dalla lettera della disciplina che ai commi 1 e 2 dice che  “resta precluso” l’avvio e la prosecuzione delle procedure di riduzione del personale, così come “resta preclusa” la facoltà di procedere a licenziamenti per giustificato motivo oggettivo.

Dunque alle imprese si chiede di non licenziare, almeno finché abbiano la possibilità di utilizzare strumento di sostegno..

Nella precedente fase il divieto era generale, nel periodo stabilito direttamente dalla legge, indipendentemente dall’effettiva fruibilità per tutto tale periodo degli strumenti introdotti dalla normativa emergenziale (pur molto importanti e di fatto generalizzati). Ora il Governo sembra essersi sforzato di rendere più flessibile tale disciplina, tenendo almeno in parte conto delle specifiche situazioni, e aggiungendovi alcune eccezioni (comma 3 dell’art. 14), compreso un importante sostegno agli accordi aziendali di incentivazione dell’esodo, cui viene esteso l’accesso alla Naspi pur se conducono a risoluzioni consensuali e non a licenziamenti, come esposto nel punto 3B) della presente sintesi.

Pertanto, secondo questa seconda interpretazione, al di fuori delle possibilità ora introdotte con la proroga del blocco, i recessi “restano preclusi”, anche se l’impresa non ritiene di accedere agli ammortizzatori sociali o all’esonero contributivo, e in tal caso lo restano sino a fine anno (termine ricavabile dalla stessa disciplina di tali strumenti).

3 B) CASI ESTRANEI AL DIVIETO.

Come per il periodo di divieto spirato lo scorso 17 agosto 2020, anche nelle ipotesi previste dall’art. 14 è sempre fatta salva la possibilità per i datori di lavoro di procedere ai licenziamenti individuali disciplinari, per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa, ai licenziamenti per superamento del periodo di comporto, ai licenziamenti per mancato superamento del periodo di prova, al licenziamento dei dirigenti ovvero alla risoluzione consensuale del rapporto di lavoro.

Le preclusioni e le sospensioni relative all’avvio delle procedure di cui alla L. n. 223/1991 ed il divieto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo non si applicano:

  •  nelle   ipotesi   di   licenziamenti   motivati   dalla   cessazione  definitiva

 dell’attività di impresa conseguenti alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell’attività, nei casi in cui nel corso della liquidazione non si configuri la cessione di un complesso di beni od attività che possano configurare un trasferimento d’azienda o di un ramo di essa ai sensi dell’art. 2112 c.c.;

  • nelle ipotesi di accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscono al predetto accordo.  Ne consegue che solo le OO.SS. comparativamente più rappresentative a livello nazionale (e non anche le rispettive Rsa/Rsu) sono legittimate a stipulare tali intese sindacali con i datori, accordi che peraltro non sembrano coincidere con quelli di cui agli articoli 4 e 24 della legge n. 223/91 previsti per le procedure di licenziamento collettivo. Questa rappresenta la più interessante fattispecie fra le ipotesi di esclusione dal divieto di licenziamento per ragioni economiche. E infatti, pur trattandosi della via di più difficile realizzazione (presuppone un’intesa con i sindacati e poi l’adesione del lavoratore), potrebbe rilevarsi un valido strumento per consentire alle imprese di attuare processi di riorganizzazione “su base volontaria”. Di fatto si è “istituzionalizzato” tramite il canale sindacale ciò che già veniva realizzato a livello individuale, laddove in vigenza del divieto è sempre stata ammessa la possibilità per le parti di concludere accordi transattivi, anche a seguito di licenziamenti intimati in violazione del divieto, senza che da ciò potesse derivare la perdita della Naspi per il dipendente, come, peraltro, chiarito dall’Inps con il messaggio n. 2261/2020.
  • Sono, altre sì, esclusi da tale divieto i licenziamenti intimati in caso di fallimento, quando non siaprevisto l’esercizio provvisorio dell’impresa, ovvero ne sia disposta la cessazione. Nel caso in cui l’esercizio provvisorio sia disposto per uno specifico ramo dell’azienda, sono esclusi dal divieto i licenziamenti riguardanti i settori non compresi nello stesso.

Il datore di lavoro che, indipendentemente dal numero dei dipendenti, nell’anno 2020, abbia proceduto al recesso del contratto di lavoro per giustificato motivo oggettivo, può, in deroga alle previsioni di cui all’articolo 18, comma 10, St. lav., revocare in ogni tempo il recesso, purché contestualmente faccia richiesta del trattamento di cassa integrazione salariale, a decorrere dalla data in cui aveva efficacia il licenziamento revocato.

In tal caso, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, senza oneri né sanzioni per il datore di lavoro.

Da ultimo, anche con riferimento al Dl 104/2020, permangono forti dubbi di legittimità costituzionale: è evidente che la proroga del divieto di licenziamento per un ulteriore lungo periodo (peraltro variabile e indeterminato) che va persino oltre l’attuale scadenza della dichiarata emergenza epidemiologica (fissata al 15 ottobre 2020) continua a comprimere la libertà imprenditoriale di cui all’articolo 41 della Costituzione. 

  1. ESONERO CONTRIBUTIVO PER ASSUNZIONI A TEMPO INDETERMINATO.
  • L’art. 6 del Dl 104/2020 introduce un esonero contributivo in favore dei datori di lavoro (escluso il settore agricolo) che, fino al 31 dicembre 2020, assumono lavoratori subordinati con contratto a tempo indeterminato.
  • L’incentivo non si applica né ai rapporti di apprendistato, né al lavoro domestico ed è strutturato in forma di esonero totale dal versamento dei contributi previdenziali a carico azienda (premio Inail escluso), per un periodo massimo di sei mesi dall’assunzione, nel limite di un importo di esonero pari a 8.060 euro su base annua, riparametrato e applicato su base mensile. In sintesi, quindi, per un lavoratore full time, l’incentivo non potrà eccedere 4.030 euro nel semestre (671 euro mensili).
  • L’agevolazione, riconosciuta anche per le stabilizzazioni dei rapporti a termine successive all’entrata in vigore del decreto, non si applica in caso di assunzioni/stabilizzazioni di lavoratori che abbiano avuto, nei 6 mesi precedenti, un contratto a tempo indeterminato con la stessa azienda.
  • Tale esonero è cumulabile con altri esoneri o riduzioni delle aliquote di finanziamento previsti dalla normativa vigente, nei limiti della contribuzione previdenziale dovuta.
  • Un altro esonero è riconosciuto, con le stesse modalità e identico arco temporale, per le assunzioni a tempo determinato o con contratto di lavoro stagionale nei settori del turismo e degli stabilimenti termali. La facilitazione – cumulabile con altri esoneri o agevolazioni previste dalla normativa vigente – dura per il periodo dei contratti stipulati e comunque sino a un massimo di 3 mesi, concessi anche in caso di stabilizzazione. L’operatività della facilitazione è subordinata all’autorizzazione della Commissione europea.
  1. CONTRATTI A TERMINE
  • A ) La deroga alle causali

Il Decreto Rilancio, all’art. 93, in deroga all’articolo 21 del d.lgs. 148/2015, prevedeva espressamente la possibilità di rinnovare o prorogare fino al 30 agosto 2020 i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato in essere alla data del 23 febbraio 2020, anche in assenza delle condizioni di cui all’articolo 19, comma 1, d.lgs. n. 81/2015.

Ora, il decreto 104/2020, all’art. 8, Capo I, prevede la possibilità, fino al 31 dicembre 2020, di rinnovare o prorogare, per un periodo massimo di 12 mesi e per una volta sola, tutti i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato, anche in assenza delle condizioni di cui all’articolo 19, comma 1, d.lgs. n. 81/2015 e comunque ferma la durata massima complessiva di 24 mesi.

La nuova versione dell’articolo 93, comma 1, afferma che la normativa viene dettata «in conseguenza dell’emergenza epidemiologica da Covid-19». Con questo inciso, in pratica, il legislatore evidenzia il carattere di specialità e di temporaneità delle deroghe contenute nella nuova regolamentazione rispetto alla normativa ordinaria in materia di contratto a termine.

Pertanto, alla luce della nuova formulazione dell’art. 93, comma 1, della legge n. 77/2020, di conversione del Decreto Rilancio, così come introdotta dall’art. 8 del decreto agosto, le aziende, per fruire della acausalità nei contratti a tempo determinato, non dovranno più fornire la prova che il contratto sia stato attivato o prorogato    con    l’obiettivo    di    riavviare    l’attività    produttiva    in  conseguenza  dell’emergenza sanitaria.

Inoltre, tale deroga, potrà essere applicata a tutti i contratti a tempo determinato, indipendentemente dal fatto che il rapporto prorogato sia stato in vita al 23 febbraio 2020, ovvero che il precedente rapporto, oggi rinnovato, sia stato attivo alla data del 23 febbraio 2020.

La regola si applica a tutti i rapporti a termine suscettibili di un rinnovo o di una proroga, qualora questi – applicando le regole ordinarie – potrebbero essere rinnovati o prorogati solo in presenza di una causale: fino alla fine dell’anno si può procedere anche senza rispettare questo adempimento. Si pensi al caso di un contratto a termine scaduto, che deve essere rinnovato. Applicando la disciplina ordinaria, il rinnovo sarebbe possibile solo in presenza di esigenze sostitutive, o per ragioni straordinarie ed eccezionali. Grazie alla nuova disciplina, viene meno l’esigenza di indicare queste motivazioni e si può procedere senza formalità specifiche.

Analogo effetto si verifica in caso di proroga. Si pensi, ad esempio, a un contratto arrivato al dodicesimo mese; tale rapporto potrebbe essere prorogato, sino al termine di 24 mesi, solo con una causale, mentre in virtù della nuova disciplina può proseguire senza necessità di dimostrare la sussistenza del requisito.

Benché l’assunzione a tempo determinato da parte di un’agenzia di lavoro non sia considerata espressamente dall’articolo 93, come modificato dal decreto Agosto, si deve ritenere che la deroga in questione debba valere anche per il contratto a termine in somministrazione.  Ciò in quanto la normativa generale afferma che il rapporto di lavoro a termine fra agenzia per il lavoro e lavoratore è soggetta, con alcune eccezioni, alla disciplina sui rapporti a termine diretti (articolo 34 del Dlgs 81/2015). La ratio ispiratrice dell’articolo 93, del resto, calza perfettamente anche alla somministrazione.

  • B) L’eliminazione della proroga automatica

Il DL 104/2020 ha abrogato la proroga automatica dei contratti a tempo determinato (anche in regime di somministrazione), di apprendistato per la qualifica e di alta formazione, che era stata introdotta dalla Legge 77/2020, di conversione del Decreto Rilancio, per un periodo pari alla durata della sospensione dell’attività lavorativa per il Covid-19.

 

 

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